I registi di film di suspense ne facevano largo uso, gli spettatori spesso nemmeno ci fanno caso, eppure è uno stratagemma frequente, senza il quale non esisterebbero grandi intrighi
Chi ama i film thriller si sarà trovato spesso mentalmente coinvolto e rapito dalle trame che parlano di rapimenti, piani segreti, intrighi e situazioni dove il protagonista deve salvare il mondo e porta con sé quel qualcosa: piani per costruire bombe, oppure persone da trovare, nemici da cui sfuggire.
Il film inizia e in pochi minuti siamo travolti dagli eventi. Il protagonista viene, spesso suo malgrado, coinvolto in qualcosa più grande di lui, spesso e volentieri incomprensibile ad una prima occhiata. A volte anche ad un secondo e terzo sguardo, insomma, sovente ci si concentra sull’attore che si barcamena per salvare delle vite, o semplicemente sé stesso, e non ci si cura di altro.
Stiamo parlando di lui, il MacGuffin. Lo conosciamo tutti ma non tutti avevano idea che ci fosse un termine ben preciso. Si tratta di quell’espediente narrativo, che sia un evento o un oggetto che fornisce la motivazione per far compiere ai personaggi determinate azioni.
Per la trama ha un’importanza fondamentale, per lo spettatore, se ci pensate, è privo di significato. O quasi. Si tratta insomma di uno degli espedienti narrativi più famosi e duraturi di tutto il cinema (tanto che gli AMC Theaters gli hanno intitolato i loro bar). Il termine venne coniato dallo sceneggiatore Angus McPhail, ma entrò a far parte della cultura pop grazie al re del brivido: Alfred Hitchcock, le cui opere lo impiegavano regolarmente.
Il regista lo ha spiegato al collega François Truffaut durante le loro leggendarie conversazioni degli anni ’60. Ne riportiamo uno stralcio:
“La cosa principale che ho imparato negli anni è che il MacGuffin non è niente. Ne sono convinto, ma trovo molto difficile dimostrarlo agli altri. Il mio miglior MacGuffin, e con questo intendo il più vuoto, il più inesistente e il più assurdo, è quello che abbiamo usato in “Intrigo internazionale”. Il film parla di spionaggio e l’unica domanda che viene sollevata nella storia è scoprire cosa stanno cercando le spie. Beh, durante la scena all’aeroporto di Chicago, l’uomo della Central Intelligence spiega l’intera situazione a Cary Grant e Grant, riferendosi al personaggio di James Mason , chiede: “Cosa fa?”.
“L’uomo del controspionaggio risponde: “Diciamo solo che è un importatore ed esportatore”. “Ma cosa vende?”. “Oh, solo segreti governativi!” è la risposta. Qui, vedete, il MacGuffin è stato ridotto alla sua espressione più pura: niente di niente!”. Dieci anni dopo, in un’apparizione del 1972 al Dick Cavett Show , a Hitchcock fu chiesto di questa tecnica . La definì come “quella cosa di cui i personaggi sullo schermo si preoccupano, ma al pubblico non importa”.
Un buon MacGuffin è in genere un oggetto di qualche tipo che anima la trama e guida le azioni dei personaggi al suo interno. Hitchcock si affidò ai MacGuffin nella maggior parte dei suoi thriller classici, dopo averne perfezionato l’uso 90 anni fa ne “Il club dei 39” (The 39 Steps) del 1935.
Nel film in questione sono coinvolti dei progetti per il motore di un aereo, i MacGuffin sono questi ma la protagonista non sa cosa siano questi progetti militari, sa solo di essere in pericolo e per il pubblico questo basta e avanza.
Si tratta di un meccanismo a cui il regista, Alfred Hitchcock sarebbe tornato regolarmente, che si trattasse dell’uranio in “Notorious” del 1946, del microfilm in “Intrigo internazionale” del 1959 o del denaro rubato in “Psycho” del 1960.
Ognuno di essi spinge i personaggi a compiere delle azioni e ne guida la trama, ma non hanno molta importanza … sono piuttosto inerti. Si tratta di dettagli che se scritti in modo diverso, non cambierebbero la trama. Se Janet Leigh fosse stata in fuga con una busta contenente dei progetti segreti, il film sarebbe rimasto lo stesso in tutti i suoi punti salienti.
L’idea del MacGuffin influenza e ha influenzato tutta una serie di film, ad esempio, Le lettere di transito di “Casablanca”. Il Falco Maltese di “Il falcone maltese”. L’Arca dell’Alleanza de “I predatori dell’arca perduta”. La misteriosa valigetta di “Pulp Fiction”. Il tappeto de “Il grande Lebowski”. L’Unobtanium di Avatar. Doug di Una notte da leoni. La chiave cruciforme di “Mission: Impossible – Dead Reckoning”.
Uno dei motivi per cui Hitchcock amava così tanto il MacGuffin (e perché si è dimostrato un espediente così duraturo) è la sua adattabilità pura e semplice. Può essere qualsiasi cosa, purché i personaggi facciano di tutto per ottenerlo: soldi, segreti. Persino persone. Il MacGuffin è uno degli espedienti narrativi più importanti nella storia del cinema, e Hitchcock ne perfezionò l’uso 90 anni fa in un eccellente film del 1935, sui segreti britannici rubati.
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