Se pensi a Netflix in questo periodo pensi principalmente a Stranger Things. Ma oltre alla serie più acclamata del momento giunta alla sua stagione finale, sulla piattaforma streaming c’è molto di più. E, come nel caso del film Train Dreams, spesso si tratta di vere e proprie perle che sarebbe meglio non farsi sfuggire.
Passato un po’ sotto silenzio in questi giorni c’è la possibilità di guardare questo film per la regia di Clint Bentley. L’opera ha ottenuto 2 candidature ai Golden Globe e spicca tra i protagonisti l’interpretazione dell’attore australiano Joel Edgerton. Ma perchè lo abbiamo definito addirittura un capolavoro?
Tratto dall’omonimo racconto di Denis Johnson e adattato per il grande schermo da Clint Bentley insieme a Greg Kwedar, il film sta ottenendo un trasversale coro di applausi, critiche positive e reazioni entusiaste. Joel Edgerton interpreta il protagonista, Robert Grainier. L’uomo è un taglialegna che lavora alla costruzione delle ferrovie negli Stati Uniti e che dovrà affrontare un mondo in rapido cambiamento, un modo che lui stesso sta contribuendo a stravolgere. Un cambiamento però di fronte al quale Robert non sa come reagire. Grainier è un uomo semplice che attraversa la prima metà del Novecento lavorando come operaio sulle ferrovie e vivendo ai margini di un mondo in trasformazione. La sua esistenza è fatta di lavoro duro, di natura selvaggia, di legami profondi e di perdite che segnano per sempre. Non c’è eroismo tradizionale, non c’è retorica: c’è una quotidianità fragile, raccontata con una delicatezza disarmante.
Uno degli elementi che rendo questo film unico è il suo ritmo lento e contemplativo. Un film nel quale la vera protagonista è la natura, un vero e proprio personaggio del film che accompagna il protagonista e riflette il suo stato d’animo, rendendo ogni scena visivamente intensa senza bisogno di parole. Nei silenzi che attraversano tutto il racconto emergono le emozioni più forti che prova il protagonista e di riflesso lo spettatore: la solitudine, l’amore, il senso di appartenenza e quello di smarrimento davanti al progresso che avanza in modo inesorabile.
Il regista sceglie infatti di mettere in scena la storia senza forzature narrative, affidandosi principalmente alla potenza delle immagini piuttosto che a quella delle parole. I tempi della rappresentazione sono dilatati, quasi meditativi, e permettono allo spettatore di entrare lentamente e in punta di piedi nella vita del protagonista. La macchina da presa osserva ciò che accade mettendosi quasi al nostro fianco senza farci da guida, ma lasciando spazio alla natura e ai dettagli quotidiani. È una regia che rifiuta l’enfasi e privilegia l’intimità, capace di trasformare gesti semplici e paesaggi immensi in momenti di grande intensità emotiva.
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