Dal realismo degli effetti speciali all’intelligenza artificiale nelle sceneggiature: un viaggio nel nuovo linguaggio del cinema.
Il cinema è sempre stato un’arte in continua trasformazione, capace di adattarsi alle nuove tecnologie e di usarle per raccontare storie in modi sempre diversi. Se un tempo erano gli effetti pratici e le scenografie mastodontiche a stupire il pubblico, oggi l’evoluzione passa attraverso due sigle ormai familiari: CGI (Computer Generated Imagery) e AI (Artificial Intelligence). Non si tratta di semplici strumenti tecnici, ma di vere e proprie rivoluzioni che stanno ridefinendo il linguaggio cinematografico, le professioni del settore e perfino il ruolo stesso dello spettatore.
La CGI non è una novità assoluta, ma negli ultimi decenni ha raggiunto livelli di realismo e complessità impensabili. Dagli anni ’90 con Jurassic Park, fino all’universo Marvel e ad Avatar, il confine tra reale e digitale si è fatto sempre più sottile.
I set virtuali consentono di ridurre i costi e ampliare la creatività, eliminando la necessità di costruire ambienti fisici enormi.
Le creature generate al computer hanno sostituito pupazzi, animatroni e make-up prostetico, offrendo un ventaglio di possibilità illimitate.
Persino gli attori possono essere “ringiovaniti” o ricreati digitalmente, come nel caso di Carrie Fisher riportata sullo schermo in Star Wars: Rogue One.
Se la CGI domina il lato visivo, l’AI sta entrando nelle fasi più invisibili ma cruciali del cinema.
Come accade in ogni grande rivoluzione, anche l’arrivo massiccio di AI e CGI nel mondo del cinema porta con sé tanto entusiasmo quanto preoccupazioni. Da un lato, si aprono possibilità straordinarie: strumenti che un tempo erano accessibili solo alle grandi produzioni oggi diventano più democratici, permettendo anche a cineasti indipendenti di sperimentare effetti visivi spettacolari e narrazioni innovative. La tecnologia, in questo senso, diventa una chiave che abbatte barriere economiche e tecniche, liberando la creatività e offrendo nuove forme espressive.
Dall’altro lato, però, il progresso non è privo di ombre. L’automazione di alcuni processi rischia di mettere in crisi figure professionali tradizionali, spingendo a chiedersi quale sarà il ruolo dell’uomo nel cinema del futuro. C’è poi il timore di un’omologazione estetica, con film che finiscono per assomigliarsi troppo a causa dell’uso degli stessi software e algoritmi. Ma il punto più delicato resta quello etico: fino a che punto è giusto utilizzare l’intelligenza artificiale per ricreare attori ormai scomparsi o manipolare immagini e voci senza il consenso diretto dei protagonisti? È un terreno complesso, dove innovazione e responsabilità dovranno necessariamente camminare insieme. Di seguito il pensiero di Carlo Verdone, condiviso da molti addetti ai lavori.
Il cinema ha sempre camminato sul filo tra arte e tecnologia. Oggi, con CGI e AI, si trova davanti a una nuova era che non riguarda solo il modo in cui i film vengono realizzati, ma anche il rapporto tra creatori e pubblico. Forse il futuro sarà fatto di storie scritte in parte da macchine e interpretate da attori digitali, ma ciò che non potrà mai essere sostituito è la capacità del cinema di emozionare. Ed è lì, tra pixel e pellicola, che la magia continuerà a vivere.
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