È uno dei film più importanti sull’esistenza dell’umanità eppure pochi riescono a vederlo: ecco di cosa si tratta e perché è così speciale.
Quando si parla di comprendere il significato e studiare l’esistenza umana, il cinema ricopre un ruolo cruciale non solo come forma di intrattenimento, ma come strumento di analisi preciso e visionario. Con un punto di vista sempre moderno e avanti con i tempi, il cinema riesce a generare costantemente una riflessione nello spettatore, trasformando il suo ruolo da passivo ad attivo.
Questo avviene spesso con le pellicole più ambiziose, in cui il messaggio finale e la fruizione sono più complesse del previsto, inducendo lo spettatore a porsi domande anche durante la visione. Per la loro estetica radicale, tuttavia, queste pellicole sono spesso le più incomprese e raggiungono il grande pubblico con meno facilità rispetto ai film più mainstream.
È il caso di una ambiziosa opera cinematografica del 2011, la quale affronta il tema dell’esistenza umana e di una preannunciata fine del mondo. Premiato con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino, il film risulta essere una visione complessa, ma assolutamente necessaria per chi vuole intraprendere una riflessione profonda sul mondo circostante.
Diretto dai registi ungheresi Béla Tarr e Ágnes Hranitzky, Il cavallo di Torino (A torinói ló) è uno dei film più ambiziosi e profondi degli ultimi anni. Tratto da un episodio della vita del filosofo Friedrich Nietzsche, la pellicola è considerata uno dei capolavori del cinema d’autore contemporaneo. Una voice over iniziale introduce l’episodio biografico del filosofo, avvenuto proprio a Torino nel 1889. In quell’anno, Nietzsche assistette un cocchiere frustare il proprio cavallo e, gettandosi al collo dell’animale in lacrime, perse conoscenza.
Con questa premessa storica, il film sviluppa la domanda centrale del pensiero nicciano: cosa accade al mondo dopo la morte di Dio? La risposta del regista di mostra nel film con una serie di accadimenti i quali spengono giorno dopo giorno la fiamma dell’umanità, rendendo l’essere vivente vuoto e logorato. Il film è girato interamente in un bianco e nero dai netti contrasti, i quali regalano un’estetica di derivazione espressionista all’intera pellicola.
Con un ritmo volutamente lentissimo, quasi esasperante, Il cavallo di Torino ambisce a portare lo spettatore in uno stato di ipnosi, in cui le immagini scorrono e producono una sensazione di pesantezza costante, la medesima vissuta dai protagonisti all’interno della storia. Si tratta di una visione necessaria per chi vuole conoscere la filmografia di un autore straordinario come Béla Tarr.
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