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Non ci resta che piangere, torna in tv il capolavoro di Benigni e Troisi: in pochi sanno che fu quasi tutto improvvisato

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Fabio Scapellato

A vederlo come semplici spettatori, Non ci resta che piangere sembra un film fatto e finito, con le sue stravaganze che lo hanno reso un cult ma con una coerenza di fondo che lo rende godibile allo spettatore. Eppure pare che nulla di tutto ciò che abbiamo visto tutti nella sua forma finale fosse realmente pianificato.

Nel Natale del 1984, Non ci resta che piangere – film diretto a quattro mani da Massimo Troisi e Roberto Benigni – fece il suo debutto nelle sale cinematografiche ottenendo un risultato fenomenale al botteghino (15 miliardi di Lire era un successo clamoroso per l’epoca), diventando immediatamente un cult del nostro cinema e la consacrazione per due artisti agli inizi ma già amati dal pubblico.

Non ci resta che piangere, torna in tv il capolavoro di Benigni e Troisi: in pochi sanno che fu quasi tutto improvvisato – cinema.it

All’epoca Benigni era famoso soprattutto per le sue apparizioni televisive come cabarettista – aveva già diretto il suo primo film (Tu mi turbi) ma i successi arriveranno solo in seguito – mentre Troisi era già molto amato alla regia, avendo ottenuto buoni risultati sia con Ricomincio da tre che con Scusate il ritardo.

L’idea di creare un film a quattro mani venne in maniera estemporanea ai due ma venne immediatamente avallata dai produttori, consapevoli che con quei due come protagonisti ci sarebbe stato un sicuro richiamo al cinema ed il conseguente ritorno economico per l’investimento fatto.

Il problema, però, è che Benigni e Troisi avevano avuto una sola idea, Il viaggio nel tempo, ma non avevano steso una sceneggiatura e non sapevano nemmeno come questo viaggio si sarebbe dovuto svolgere e men che meno come si sarebbe dovuto concludere. All’inizio dei lavori, insomma, tutta la troupe viveva alla giornata, in balia dell’ispirazione e del genio delle due star.

Un capolavoro nato in maniera estemporanea

A raccontare i retroscena di questa produzione sui generis sono stati Mauro Berardi (produttore cinematografico) e Mario Frigeri (scenografo agli esordi all’epoca ma poi divenuto famoso in tutto il mondo con La Passione di Mel Gibson). Proprio Berardi spiega come il metodo di lavoro dei due comici era quantomeno peculiare: “L’idea di scrivere una storia insieme, e poi di dirigerla, nacque dalla loro frequentazione. Ma ‘scrivere’ si sarebbe ben presto rivelata una parola grossa…”.

Un capolavoro nato in maniera estemporanea – cinema.it

Massimo e Roberto passavano la maggior parte del tempo insieme a gareggiare, una sfida di battute finché uno dei due non scoppiava a ridere. Ben presto divenne chiaro ai produttori che sarebbe stato necessario togliere ogni distrazione per fare sviluppare il canovaccio, così furono “rinchiusi” all’interno del resort Helio Cabala finché non fu pronta la trama ad eccezione del finale.

In realtà un finale ci sarebbe stato pure, si trattava di una scena lunga 40 minuti in cui i due protagonisti cercavano e riuscivano a convincere Cristoforo Colombo a non fare il viaggio per le Indie che avrebbe condotto alla scoperta delle Americhe, ma l’idea non entusiasmava nessuno, né le due star né tantomeno i produttori.

Le cose non sono andate meglio sul set, le giornate di riprese cominciavano quando Benigni e Troisi avevano voglia di girare, cosa che fece infuriare e non poco il direttore della fotografia Rotunno, il quale era abituato alla precisione svizzera di Hollywood e dopo i primi giorni di riprese si scagliò contro i due chiedendo il rispetto delle tabelle. Alla fine, su insistenza dei produttori, fu lui che si dovette adeguare ai ritmi dei due artisti.

Un altro problema è che i due non seguivano un copione, i dialoghi e le trovate comiche erano quasi tutte frutto di scambi di battute estemporanee. Quell’assenza di rigore si traduceva anche in riprese che non seguivano alcuno schema cinematografico conosciuto, nessun campo e controcampo, raccordo, nessuna coerenza fotografica o narrativa tra le scene, nessuna scaletta su cosa andasse montato prima e dopo.

Un’anarchia che mandò in confusione Ruggero Mastroianni (il fratello di Marcello era uno dei più grandi montatori dell’epoca), il quale abbandonò il progetto dicendo ai produttori che tutto il girato era impossibile da montare e rendere coerente. Nell’impresa riuscì il suo sostituto Nino Baragli, già abituato all’estro creativo anarchico di Pasolini.

A poche settimane dal debutto nelle sale mancava ancora il finale. L’idea del treno e di Leonardo Da Vinci venne estemporaneamente e la scena fu girata settimane dopo la chiusura del set e a montaggio praticamente concluso. Un caos creativo insomma che aveva tutto di casuale fuorché le ragioni che lo hanno reso un’opera immortale.

Fabio Scapellato

Sono laureato in Lingue, percorso Scienze per la comunicazione internazionale. Appassionato di giornalismo sin dal Liceo, scrivo da anni per blog, siti e testate giornalistiche e sono da diverso tempo giornalista pubblicista. Ho una passione smodata per il calcio e per gli sport in generale con preferenza per il Basket, la MotoGp, il Tennis e la Pallavolo. Amante del cinema d’autore, consumo nel tempo libero vagonate di serie tv, film, videogame e libri. Ritengo che la forma di narrazione più completa che ci sia oggi sia quella videoludica, anche se, come ogni medium giovane, deve ancora superare il preconcetto della massa.

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