Steven Spielberg ha temuto per la sua salute sul set di un film che lo ha messo seriamente in difficoltà ma grazie al quale ha raggiunto il successo
Steven Spielberg è uno dei registi più amati e apprezzati del nostro secolo. I suoi film toccano tematiche di ogni tipo, dall’avventura alla storia, passando per gli alieni e i dinosauri.
Un regista camaleontico, in attività dai primi anni ’70 che ha visto il suo successo esplodere con una pellicola ancora oggi molto amata, apprezzata e che fa ancora paura: “Lo squalo” (Jaws) del 1975. In un documentario di prossima uscita ha raccontato alcuni retroscena riguardo al tormentato set cinematografico. In merito ha fatto una dichiarazione emblematica: “Il film che poteva essere la fine della mia carriera, è stato il mio inizio”.
Quando Steven Spielberg si imbarcò – in tutti i sensi – nell’impresa di dirigere il film “Lo squalo”, aveva solo 28 anni. Era quindi un giovane esordiente di belle speranze e quel set lo mise realmente a dura prova. Nel documentario “Jaws @ 50: The Definitive Inside Story” di National Geographic si sente spesso il regista ripetere frasi come: “Credo di aver appena perso il controllo”.
All’epoca, il film “Lo squalo” ebbe diverse problematiche. In primis sforò, di molto il budget, e dovette attendere 100 giorni in più rispetto alla data decisa in origine. Pensarci oggi, conoscendo il mostro sacro, Steven Spielberg, fa quasi ridere, lui che sembra non avere mai dubbi ed essere infallibile, in occasione della creazione di quella pellicola venne sommerso da mille dubbi e incertezza.
I problemi furono molti. Lo studio affrettò la produzione del film, sperando di capitalizzare sulle enormi vendite del libro da cui è tratto il film (che a sua volta è ispirato a fatti realmente accaduti). I tre enormi squali in fibra di vetro erano meraviglie della tecnica, ma progettati e collaudati in acqua dolce. Nessuno pensò alle implicazioni delle riprese in acqua di mare e agli effetti negativi dell’elettrolisi. Questo causò una serie infinita di ritardi, che permisero alle star Robert Shaw e Richard Dreyfuss di darsi sui nervi a vicenda.
Un dettaglio che in realtà potrebbe aver aiutato le interpretazioni dei due ma che mise molto in difficoltà l’intero cast del film. Shaw era anche un grande bevitore, quindi a volte c’erano momenti in cui finalmente tutto funzionava, ma non riusciva a ricordarsi i dialoghi.
Ci sono stati anche diversi grattacapi a causa delle riprese in acqua. Una volta, la barca ha imbarcato troppa acqua ed è affondata. Come spiegato anche da James Cameron, che se ne intende di film bagnati, nel documentario: “Non diventa due volte più difficile, diventa subito cinque volte più difficile”.
“Lo Squalo” fu la prima grande opportunità di Spielberg in uno studio cinematografico, dopo aver lavorato in televisione e aver realizzato un piccolo lungometraggio, “The Sugarland Express”. C’erano così tanti soldi in gioco e gli addetti ai lavori di Hollywood si chiedevano se avrebbe mai più lavorato una volta tornato dalla location di Martha’s Vineyard.
Il suo avvocato alla Universal, Sid Sheinberg, volò addirittura dall’altra parte del paese per incontrarlo e dirgli: “Così non si può continuare”.
Le frustrazioni degli attori, della troupe e degli investitori dello studio gravavano sulle spalle di Spielberg, che tuttavia rimase fermo sulla sua posizione perché sapeva cosa avrebbe potuto essere il film se avesse ottenuto le riprese di cui aveva bisogno. Come riportato nel documentario, chiamava regolarmente sua madre e si sfogava con frasi come. “Mamma, è davvero impossibile. Aiuto!”
“Quando le riprese del film a Martha’s Vineyard sono terminate, ho avuto un vero e proprio attacco di panico”, ha confessato. “Non riuscivo a respirare, pensavo di avere un infarto. Non riuscivo a prendere un respiro profondo. Continuavo ad andare in bagno e a spruzzarmi l’acqua in faccia. Tremavo.” Ha aggiunto: “Era tutto ciò che avevo sperimentato sull’isola, cercare di tenere insieme me stesso e l’equipaggio. Mi sentivo davvero responsabile di tenerli lì per tutto il tempo necessario alla nostra permanenza”.
Anche se “Lo squalo” fu un successo al botteghino e un fenomeno culturale che andò oltre ogni l’immaginazione (finendo sulla copertina sia del Time che di MAD ) e diede a Spielberg una svolta professionale che gli garantì sempre l’ultima parola (e gli permise persino di co-creare il suo studio anni dopo), “non impedì gli incubi”.
Spielberg ha confessato: “Ho avuto delle grandi difficoltà quando ho finito il film”. Ha raccontato di essersi svegliato regolarmente sudato freddo, con “le lenzuola fradicie. A quei tempi non esisteva la parola ‘DPTS’ (Disturbo da stress post-traumatico), e per anni ho avuto incubi ricorrenti sulla regia di “Lo squalo”. Ero ancora sul set, e il film non finiva mai”.
Spielberg disse che in seguito, per anni, si intrufolò a bordo dell’imbarcazione “Lo Squalo”, l’Orca, dopo che era stata spostata nel backlot tour della Universal. Lì, era come tornare sulla scena di un crimine, si accovacciava in un angolo buio e singhiozzava.
“Non avevo niente per cui piangere”, ha spiegato. “Il film è stato un fenomeno, e sono qui seduto a versare lacrime perché non riesco a liberarmi da quell’esperienza. La barca mi ha aiutato a iniziare a dimenticare. Quell’Orca è stata la mia compagna terapeutica per diversi anni dopo l’uscita de Lo Squalo .”
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